In un Paese dove la canzone d’autore è quasi sempre parola, Ivan Graziani fu l’eccezione sonora.
Cantava, ma soprattutto suonava il racconto.
Le sue canzoni nascevano da un timbro, da un gesto, da una frase sulla chitarra.
Non imitava l’America: la trasformava.
Fu il primo a parlare italiano con un linguaggio da chitarrista.
🎸 La chitarra come voce, non accompagnamento
Ascoltare Monna Lisa o Lugano Addio significa percepire un dialogo continuo tra voce e strumento.
La chitarra non sostiene: risponde.
Armonie sospese, accordi aperti, settime che restano lì a raccontare ciò che le parole non dicono.
Graziani componeva come un pittore che lavora a luce e ombra, con la mano che cercava su corde ciò che la penna non trovava sul foglio.
Il suo suono nasceva dalla Gibson ES-335, dal tocco forte ma controllato, e da amplificatori valvolari con un’equalizzazione calda sui medi.
Il plettro diventava linguaggio, quasi dizione.
Ogni colpo era una sillaba.
La chitarra parlava.
🎙️ Una generazione di chitarristi pensanti
Negli stessi anni, l’Italia stava trovando una propria grammatica chitarristica.
Ricky Portera, colonna del gruppo di Lucio Dalla, introduceva la sensibilità rock nella canzone d’autore.
Nel ciclo di album da Come è profondo il mare a Dalla, il suo suono è narrativo: delay corti, attacco morbido, linee che cantano con la voce.
Non decorazione, ma drammaturgia sonora.
Nico Di Palo, con i New Trolls, aveva già portato il rock sinfonico dentro la poesia di Fabrizio De André in Senza orario, senza bandiera (1968): un disco in cui la chitarra disegna paesaggi mentali, non semplici accompagnamenti.
È lì che nasce l’idea della chitarra come interprete, preludio a ciò che Graziani renderà istintivo e carnale.
⚙️ La scuola Battisti: Massimo Luca e Phil Palmer
Il percorso non può escludere Lucio Battisti, che fece della chitarra la spina dorsale del suo suono.
Il suo storico collaboratore Massimo Luca è il simbolo del chitarrista-artigiano italiano: pulizia, precisione, senso melodico.
In album come Il mio canto libero o Anima latina, Luca unisce arpeggi classici e pattern ritmici quasi folk, creando una cifra sonora che diventa linguaggio di generazione.
Il suo tocco – asciutto, privo di retorica – traduce in note la purezza delle linee battistiane.
Poi arriva Phil Palmer, chitarrista britannico che collabora con Battisti in Una giornata uggiosa (1980), e regala alla musica italiana uno dei soli più belli mai registrati: quello di “Con il nastro rosa”.
Palmer — già nel giro di Eric Clapton, Dire Straits e Bryan Adams — porta nei dischi italiani l’eleganza dell’arrangiamento anglosassone: fraseggio controllato, armonici naturali, senso dello spazio.
In poche battute, il suo assolo diventa un racconto: il respiro di un’epoca che cercava un equilibrio tra tecnica e sentimento.
È l’incontro fra scuola italiana e cultura britannica, lo stesso equilibrio che Graziani aveva intuito istintivamente anni prima.
🧠 Graziani come sintesi
Ivan Graziani raccoglie tutte queste correnti e le restituisce con una lingua personale.
Dalla teatralità di Portera alla cura armonica di Luca, dalla forza poetica di Di Palo alla finezza timbrica di Palmer, costruisce un proprio alfabeto:
una chitarra umanissima, che respira, ironizza, soffre.
La tecnica non è virtuosismo, ma psicologia del suono.
In Pigro, Agnese o Taglia la testa al gallo, l’accordo diventa gesto emotivo: modulazioni improvvise, dissonanze domestiche, scale modali che spuntano tra una rima e l’altra.
È la chitarra che racconta la vita quotidiana, quella che sa essere dolce, sarcastica, fragile.
🌍 Connessioni e modernità: da Alomar a Phil Ramone
Quando Fabio Concato pubblica Giannutri nel 1984, decide di uscire dai confini sonori della canzone d’autore tradizionale.
Alla produzione arriva Phil Ramone, il leggendario produttore di Billy Joel, Paul Simon, Frank Sinatra, Ray Charles, Paul McCartney, Bob Dylan – una figura che aveva trasformato l’idea stessa di studio negli Stati Uniti: precisione, profondità, interplay tra musicisti.
È Ramone a suggerire a Concato di coinvolgere Carlos Alomar, chitarrista storico di David Bowie, architetto di riff come Fame (co-scritto con Lennon) e figura chiave in album come Station to Station e Young Americans.
Alomar non porta solo tecnica: porta una mentalità.
Il suo modo di costruire groove e armonie ritmiche, miscelando funk, rock e pop sofisticato, definisce l’estetica del disco.
Con Giannutri, la canzone italiana raggiunge un nuovo equilibrio: scrittura autoriale, ma produzione da studio internazionale.
Per Graziani, quella stessa tensione tra identità italiana e suono globale era già una pratica naturale.
Non aveva bisogno di un produttore americano per cercare modernità: ce l’aveva nel gesto, nella chitarra, nella curiosità.
Come Alomar e Ramone, anche lui vedeva nella musica un linguaggio universale che passa prima di tutto dal timbro e dal tocco.
🌙 Un’identità italiana
Da Portera a Mussida, da Luca a Daniele, da Di Palo a Graziani, fino a Palmer e Alomar, si forma una costellazione precisa:
la chitarra come linguaggio della canzone italiana.
Non mera imitazione del rock angloamericano, ma riscrittura poetica.
Una scuola che suona mediterranea, ma pensa internazionale.
E in questo lessico, Graziani resta il centro emotivo: il chitarrista che mise la parola sulla corda e la poesia nel plettro.