Alcune band non si limitano a fare da colonna sonora alla nostra giovinezza — in silenzio, modellano il modo in cui cresciamo. Questo pezzo è una riflessione sugli album che ci tengono per mano attraverso il processo disordinato e luminoso di diventare noi stessi.
A volte crescere significa semplicemente imparare ad ascoltare meglio, e la musica diventa un rifugio, un confine, un livido che brucia e una mano che ti solleva, perché ci sono band che non si limitano a raccontare ciò che vivono loro, ma raccontano ciò che stai vivendo tu, molto prima che tu trovi il coraggio o le parole per ammetterlo. È strano come certe canzoni arrivino sempre in anticipo sulla tua vita, come se sapessero esattamente dove farà male, come se intuissi che diventare adulti non è mai un salto ma una deriva lenta fatta di tentativi, piccoli naufragi, scelte che sembrano enormi e paure che nessuno nota davvero. Alcuni dischi ti vengono incontro proprio lì, in quel punto in cui non sei più chi eri, ma non sei ancora chi sarai, e lo dicono con un accordo che cade come un peso, con una voce che suona fragile ma contiene più verità di tutte le tue certezze iniziali.
Quando i The 1975 cantano dei loro errori come se fossero specchi, quando Frank Ocean lascia galleggiare le emozioni come lenti a contatto dimenticate su un comodino, quando i Cure trasformano il dolore in una cattedrale di echi e riverberi, quando i Fleetwood Mac rendono le crepe nelle relazioni più oneste della perfezione, quando Lorde brilla e sussurra e ti ricorda che puoi essere giovane e lucido, ingenuo e profondo nello stesso respiro, ti rendi conto che crescere non è un’azione ma una serie infinita di contraddizioni.
La musica non ti giudica quando inciampi, anzi sembra quasi grata del rumore che fai mentre cadi, perché quel rumore è vivo, reale, necessario. Ogni album diventa una stanza nella casa della tua storia, un pezzo d’identità che all’inizio non ti sta addosso ma lentamente diventa qualcosa che impari a portare, come una giacca troppo grande che un giorno smette di esserlo. Forse è tutto qui: non diventiamo davvero adulti, impariamo solo a tenere insieme tutte le versioni di noi — quelle che sono esistite, quelle che esisteranno e quelle che ancora ci spaventano. E ci sono band che rendono questa trasformazione meno solitaria, ricordandoti che crescere non è una destinazione ma una forma di compagnia, un coro sommesso di voci che si intrecciano alla tua, dicendo che hanno attraversato la stessa notte, che anche loro sono stati confusi, spezzati, luminosi.
E mentre ascolti ti accorgi che non stai solo seguendo un ritmo: stai imparando di nuovo a respirare, come se ogni canzone fosse un piccolo atto di coraggio. Questo è davvero il crescere — restare fragili senza scomparire — e qualsiasi band capace di farlo insieme a te vale più di qualsiasi manuale di sopravvivenza.
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