Bruce Springsteen – Born to Run

Born To Run è l’inizio, per questo ragazzo disilluso dal sogno americano, di una gloriosa cavalcata, che lo consacrerà nel firmamento del rock.

Nel 1974, a pochi mesi dall’uscita del disco, il critico musicale Jon Landau aveva detto di lui: “Ho visto il futuro del rock e il suo nome è Bruce Springsteen” impressionato da una sua esibizione all’Harvard Square Theatre di Cambridge, in Massachusetts.

È l’album della sua svolta di successo, dopo i primi due album musicalmente interessanti, ma poco fortunati.

Nei suoi primi due dischi, Springsteen veniva indicato come il “Nuovo Dylan” o il “Poeta della strada”.

Che se ne rendesse conto o no la risposta alla sua presunta grandezza era pronta per lui con questo nuovo album.

Più rock ed incisivo dei suoi primi lavori, testi poetici e concreti, tutte le canzoni di questo album, nessuna esclusa, sono fra le più famose ed apprezzate dai fan di Springsteen.

Abbiamo i canoni che saranno a lui cari di un’America difficile, amara, contraddistinta da una ribellione giovanile che rimane ai margini o distante dall’effimero american dream.

Born to run chiude il cerchio. I temi sono quelli delle prime canzoni, ma qui trionfano per descrizione evocativa: questa città ti strappa le ossa dalla schiena / è una trappola mortale, un invito al suicidio / dobbiamo fuggire finché siamo giovani / perché i vagabondi come noi, tesoro, sono nati per correre

Alle spalle di questo disco vi sono interminabili set di registrazione, alla ricerca dell’arrangiamento e del suono perfetto, il boss sentiva la magia del momento e la inseguiva con una lavorazione maniacale.

La registrazione del solo brano che da titolo all’intero album richiese quasi sei mesi di tempo. Un tempo infinito per un sola canzone. Ma il frutto di questo incredibile impegno sarà il disco della maturità del cantante.

Come scrive Nick Hornby in 31 canzoni: “Forse Thunder Road mi ha aiutato perché, malgrado il suo vigore, il volume, le macchine sportive e i capelli, ha pur sempre un tono elegiaco. Più invecchio più lo sento. In fondo, credo di essere anch’io dell’idea che se la vita è una cosa triste e molto seria, c’è sempre un po’ di speranza; sarò pure un depresso in preda al dramma esistenziale, o magari un idiota contento, ma in ogni modo Thunder Road dice esattamente come mi sento e chi sono, e questa in fin dei conti è una delle consolazioni dell’arte”.