Raramente mi è capitato, negli ultimi anni, di ascoltare un disco così ben suonato. Continuum di John Mayer è uno di quei rari album in cui tutto sembra al posto giusto: semplice ma raffinato, acustico ed elettrico, suonato con un gusto impeccabile.
Chitarre Martin e Fender, groove asciutti, un suono che respira. È blues e soul, ma anche introspezione e misura: un equilibrio perfetto tra virtuosismo e semplicità.
Ricordo ancora la prima volta che sentii Mayer, nel CD Possibilities di Herbie Hancock. Suonava e cantava in Stitched Up, un brano che fondeva jazz e blues con una naturalezza sorprendente. In quell’album di collaborazioni illustri, quella traccia – grazie anche al tocco magico del piano di Hancock – era la vera gemma, la canzone che da sola valeva l’acquisto (si fa ancora, vero?).
Riascoltando Continuum, quell’impressione si rinnova. Mayer ha trovato qui la sua voce definitiva: meno patinata, più sincera, più matura.
Brani come “Belief” mostrano cosa significhi costruire una canzone perfetta con pochi elementi: un arpeggio di chitarra, una linea di basso soul che pulsa nel profondo, e quella voce rilassata ma carica di intenzione. È il suono di un musicista che ha imparato a sottrarre, a lasciare spazio, a rendere ogni nota necessaria.
Tra “Gravity”, “Slow Dancing in a Burning Room” e “The Heart of Life”, Continuum scorre come un dialogo tra emozione e controllo, tra il respiro del blues e la precisione del pop. È un album essenziale, ma mai minimale; un capolavoro di equilibrio e sensibilità.
Mayer, qui, non mostra solo la sua abilità alla chitarra – mostra la capacità, rara, di far parlare il silenzio tra le note.
🎧 Brani essenziali:
The Heart of Life
Belief
Gravity
Slow Dancing in a Burning Room
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